Testo dell’azione liturgica della vigilia 24 Dicembre 2023

Testi di Gregorio Nazianzeno in occasione delle celebrazioni della natività del 379/380 D.C.

Questi testi sono degli estratti dalla serata di azione liturgica del 24 Dicembre, che richiamava la festa delle luci Hannukah.

Brano. 2

“Ascoltate la voce divina…Andate da Lui, siate illuminati e il vostro volto non si vergogni, perché sarà segnato dalla luce vera. E’ il tempo della rinascita: nasciamo dall’alto. E’ il tempo della nuova formazione: riprendiamo il primo Adamo. Non rimaniamo come siamo ma diventiamo ciò che eravamo. “La luce risplende nella tenebra”, cioè in questa vita e in questa povera carne; essa è perseguitata dalla tenebra, ma non è afferrata, intendo dire dalla potenza del Nemico, che balzò con impudenza su colui che sembrava Adamo, ma si scontrò con Dio e fu sconfitto, affinché noi, deposta la tenebra, ci accostassimo alla luce e poi diventassimo luce perfetta, generazione della luce perfetta. Vedete quanto è grande il dono di questo giorno? Vedete l’efficacia di questo mistero?”

Commento a cura di Ferdinando Raffaelli

Dunque: “Lux lucet in tenebris”, la luce risplende nell’oscurità. Il poeta libanese Kahlil Gibran scrisse: “Se l’inverno dicesse: ho nel cuore la primavera chi gli crederebbe?”. Tutti sappiamo che dopo l’inverno viene la primavera, ma difficilmente ci immaginiamo che nel cuore dell’inverno ci sia la primavera.

Forse tutti abbiamo esperienza che nei momenti più difficili dell’esistenza possono giungere inaspettatamente elementi di cambiamento. Parti inedite che ci trasformano, un incontro, una parola nuova che riceviamo.

Accade anche quando cerchiamo di uscire dai nostri fallimenti, da vecchi schemi o abitudini che ci imprigionano. In quel momento, se ascoltiamo bene, sentiamo nascere dentro di noi una forza che desidera liberarci.

Qualcosa di piccolo, di tenero, di fragile, che necessita di attenzioni per vivere e per crescere, come un neonato, una vita in potenza, un germoglio che ha bisogno di essere nutrito perché altrimenti muore, allo stesso modo di una relazione d’amore che ha sempre bisogno di cura.

Questa nuova luce significa anche che “fino ad allora siamo avanzati nell’oscurità”, che l’oscurità è parte di noi, è dentro di noi. Tutti abbiamo luce e oscurità in noi, conta solamente da che parte decidiamo di agire.

Pensiamo alla vita dei profughi che oggi fuggono dalla miseria o dalla violenza e alle tante donne incinte che attraversano il Sahara per partorire nei gommoni o nelle navi di soccorso e alcune di loro finiscono anche per morirci. Nel loro orizzonte non c’è nessuna sicurezza e pochissima accoglienza, a stento riuscirebbero a trovare una grotta per rifugiarsi. Hanno molta paura ma anche un potente desiderio di vera pace. Donne e uomini in fuga che non si lasciano abbattere dall’oscurità e che desiderano, ardentemente e semplicemente, vivere assieme ai loro cari, liberi dalla violenza e dalla miseria. Forse è questo l’inverno che ha nel cuore la primavera!

E’ in questo nostro tempo travagliato che Gesù porta luce nella nostra vita. Il Natale, il suo Natale è un evento gioioso che giunge a noi come speranza di una vita migliore! “Ma la sua è una storia che ha elementi di tragicità”. La storia di un giovane profeta itinerante, che “non ha un posto dove posare il capo” e per casa ha la strada. Il luogo scelto dove incontrare coloro a cui predicare l’avvento di un regno di pace e di giustizia. Un giovane predicatore che sarà deriso, torturato e ucciso. La sua luce risplende ancora nelle tenebre di questo nostro mondo tormentato. Gesù è l’esempio per coloro che non si lasciano abbattere dall’oscurità.

“Rimani presso ciascuno di noi affinché la luce della tua parola illumini i nostri cuori”.

Brano n.4

“Questa è la nostra festa, questo noi oggi celebriamo: la venuta di Dio tra gli uomini, perché noi andiamo verso Dio o (questo è, senz’altro, il modo più appropriato di esprimersi) a lui risaliamo; affinché deponiamo l’uomo vecchio e indossiamo il nuovo, e come siamo morti in Adamo, così viviamo in Cristo, nascendo con Cristo e con lui crocifissi, sepolti e resuscitati. E’ necessario, infatti, che io subisca questo bel procedimento inverso: vale a dire, come i dolori sono venuti da una condizione iniziale felice, così dai dolori di adesso ritornino tutte le Cose più belle. «Dove, infatti, il peccato ebbe il sopravvento, lì fu ancora più forte la grazia» , e, se il gustare dell’albero ci condannò, quanto più ci giustificò la passione di Cristo? Dunque celebriamo la festa, non una festa profana, ma divina, non secondo le regole del mondo, ma secondo quelle al di sopra di questo mondo; non celebriamo una nostra festa, ma quella. di colui che è nostro, o piuttosto di colui che è nostro Signore; non gli avvenimenti della nostra malattia, ma quelli della nostra guarigione, non quelli della nostra creazione, ma quelli della nostra seconda creazione.”

Commento a cura di Cristina Di Fino

Alla soglia del Chicco, ogni volta che la oltrepasso, giungono sempre i ragazzi ad accoglierci con allegria, così li chiamiamo ragazzi indipendentemente dall’età, sempre contenti di una visita. Vivono lì, con le loro difficoltà fisiche e mentali, senza sottostare alla logica produttiva, o dell’imparare qualcosa per forza, sono accettati così come sono. Alcuni si trovano lì perché la loro famiglia era povera, altri perché la povertà è stata l’ignoranza, il non saper prendersi cura di qualcuno speciale, altri ancora perché la loro famiglia era ricca, anche i ricchi non sanno accettare un figlio definito tramite la sua malattia.

Al Chicco, comunità dell’Arca, fondata da Jean Vanier, c’è un assistente per ogni residente. Gli assistenti volontari provengono da vicino e da lontano, da quei paesi dove le leggi permettono l’accoglienza, e chi rimane un mese, chi sei mesi, chi qualche anno, chi tutta la vita (come i responsabili della comunità). Poi ci sono gli amici, chi dedica un giorno a settimana, chi qualche ora, chi un impegno più consistente, chi solo una notte.

L’angelo del Signore arriva così a rompere le regole del mondo, e per non lasciare nessuno da solo, crea una lunga catena umana, incessante, che dona vita, che attraversa il tempo e lo spazio.

Nella messa di Natale, dentro la grande sala, i figli dei responsabili del Chicco, sono abituati da neonati, a giocare con i ragazzi, i quali sembrano più luminosi con i loro strumenti musicali, alcuni trasformati perché sorretti anche fisicamente dalla mano dell’assistente che è quasi invisibile ai più.

Ad un Natale era presente anche Carlo, un padre oppresso da un grande peso, dal dover fare una terribile scelta. Poi c’era anche Cataldo, un giovane volontario, che è innamorato di un assistente, Carmen.

Dopo qualche anno, a Cataldo, a 34 anni, sarà diagnosticato, un tumore ai linfonodi accompagnato da un’altra sentenza a vita: non avrà mai figli. A Carmen, che nel frattempo si era sposata con lui, i dottori intimano di non fare figli, avendo lei un fratello con sindrome down, sono sicuri che passerà la malattia al figlio. Carmen dirà “La brutalità con cui i dottori hanno interpretato “la scienza” è stata tremenda”.

In un Natale successivo tutti sono attorno ad una neonata con sindrome di down. Il miracolo lo spiega Carlo “io l’ho fatta nascere perché ci siete voi, perché sapevo che qui qualcuno poteva e potrà aiutarci anche in futuro”.

E poi c’è Cataldo e Carmen, a cui l’angelo del Signore ha suggerito di tentare di dare alla luce un figlio ed è successo per ben tre volte e sono tutti sani.

Secondo i dati del 2017 negli Stati Uniti il tasso di interruzione di gravidanza legato alla rilevazione di sindrome di Down è pari al 67 per cento, in Francia al 77 per cento, nel Regno Unito al 90 per cento e in Danimarca al 98 per cento. Una silenziosa strage degli innocenti, o un’eugenetica, un razzismo assassino che seleziona solo il “più forte”. Queste diagnosi non sono precise al 100%, per una certa minima percentuale, è errata, la strage avviene anche su bambini che sono “sani”. Oggi dovrebbe essere di conoscenza comune che avere la sindrome di down, non è condannare qualcuno ad una vita di stenti, come molti ignoranti guardando un diverso, affermano, ma è avere una vita lunga, ricca e felice. Eppure anche questa è scienza, che è ignorata.

Quante volte le nostre parole, le nostre relazioni hanno decretato la vita o la morte di altri?

Queste storie sono tramandate da persone di fede ed è stata scritta nel libro della mia vita, affinché io portassi testimonianza.

Brano n. 5

“E questo come avverrà? Non incoroniamo i vestiboli delle case con corone, non organizziamo danze, non adorniamo le strade, non pensiamo a offrire banchetti ai nostri occhi, o a incantare con i suoni il nostro udito, non rendiamo effeminato il nostro odorato con languidi profumi, non prostituiamo il nostro gusto, non compiacciamoci del tatto: queste sono le strade che conducono al vizio, questi sono gli ingressi del peccato Non infiacchiamoci con le vesti morbide e fluenti, il cui pregio maggiore e l’inutilità, con la trasparenza delle pietre preziose, con il luccichio dell’oro, con gli artifici dei colori che alterano la bellezza. naturale e che sono stati escogitati contro l’immagine di Dio. Non «con banchetti ed ebbrezze», ai quali, lo so bene, si accompagnano accoppiamenti e impudicizia, poiché di maestri dissoluti dissoluti sono gli insegnamenti, o piuttosto, da semi cattivi nascono piante cattive. Non costruiamo tavole elevate proteggendo il nostro ventre sotto la tenda della mollezza. Non teniamo in gran conto il profumo dei vini, le ricercatezze della cucina, le costosità degli unguenti. Che la terra e il mare non ci portino in dono il loro nobile sterco (ché questo è il modo, infatti, in cui io son solito tributare il mio onore al lusso); non diamoci da fare per superarci a vicenda in dissolutezza: infatti per me la dissolutezza è tutto ciò che è superfluo e inutile, mentre altri hanno fame e sono bisognosi, altri che sono nati dallo stesso fango e dalla stessa mescolanza nostra.”

Commento a cura di Roberto Prinzio

Queste parole di Gregorio Nazianzeno   (Costantinopoli 379/380 d.C.)

Sono parole che fanno molto riflettere. Sono parole dure.

Sono parole che forse oggi noi, permeati come siamo nel nostro linguaggio “politicamente corretto”, non oseremmo utilizzare, ma, fratelli e sorelle, non sono parole ipocrite,

sono un monito, sono un’esortazione, sono parole che percuotono, ora come allora, il nostro essere credenti, il nostro essere cristiani, il nostro essere protestanti

E le luci festose della Costantinopoli di fine 300 d.C., come quelle delle nostre città oggi offuscano quella che è la vera luce, la luce del Cristo che è nato.

Benedici o Dio la tua parola

Brano n.8

“Ma noi, come ricevemmo la grazia di fuggire l’errore della superstizione e di raggiungere la verità e di «essere servi del Dio vivente» e vero e di elevarci al di sopra del creato, oltrepassando tutto quello che è sottoposto al tempo e al primo moto, allo stesso modo cerchiamo di conoscere e di meditare sulle cose di Dio e sulle cose divine. Allora meditiamo cominciando da dove è meglio cominciare. Ebbene, il miglior punto di partenza è quello fissato da Salomone, il quale dice: «Inizio della sapienza è acquistarsi la sapienza». Cosa vogliono dire le parole: «Inizio della sapienza»? Il timore. Non bisogna cominciare, infatti, dalla contemplazione, per terminare nel timore, ché la contemplazione, se non ha freni, potrebbe anche spingerci nei precipizi; ma bisogna assumere come nostro primo elemento la paura e purificarsi, e, per dir così, assottigliarsi, in modo da sollevarsi poi a grandi altezze. Infatti, dove c’è il timore c’è l’osservanza dei comandamenti, dove l’osservanza dei comandamenti, la purificazione della carne da quella nube che oscura la anima e non le lascia vivere nella sua purezza il raggio della luce divina; dove c’è la purificazione c’è l’illuminazione e l’illuminazione è l’appagamento del desiderio, per coloro almeno che tendono alle realtà più grandi, o alla realtà più grande, o a quella che è superiore alla grandezza.”

Commento a cura di Paolo Zebelloni

Proverbi 4,7 «Il principio della saggezza è: Acquista la saggezza; sì, a costo di quanto possiedi, acquista l’intelligenza».

Sembra che, nel libro dei Proverbi, un libro molto, molto antico, la sapienza, che è saggezza, sia un sostanziale sinonimo di intelligenza.

Nel nostro tempo, questa sinonimia si è persa, e l’intelligenza è spesso considerata più affine allo studio, alla conoscenza, all’esercizio delle discipline.
Ma è poi proprio vero che “basta studiare” per essere “saggi”? La saggezza non viene invece da quanto la vita davvero sa insegnarci? E da quanto gli altri, i nostri prossimi, apportano alla nostra vita, ai colori che sanno aggiungere al dipinto della nostra esistenza?

La saggezza è ben altra cosa. Essa non si studia, ma si coltiva, con i dubbi, le domande e talvolta qualche tormento. Ci viene dal tempo in cui lasciamo scorrere la vita in noi.