“Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio”
(Levitico 19:33-34)
Predicazione del pastore Sergio Manna nel tempio valdese di Rorà, domenica 26 gennaio 2025. Il versetto proposto dal lezionario per la predicazione risuona in modo particolare pensando ai fatti di attualità degli ultimi giorni…
Care sorelle e cari fratelli,
lunedì scorso, alle 18.00 (ora italiana) Donald Trump è stato insediato ufficialmente quale presidente degli Stati Uniti.
Pochi giorni prima aveva definito gli immigrati “cattivi” e “portatori del gene dell’omicidio”, annunciando che appena dopo il suo insediamento sarebbero iniziate le deportazioni di immigrati irregolari, cosa che sta puntualmente accadendo in questi giorni, con foto e filmati (che hanno già fatto il giro del mondo) di persone in fila, incatenate mani e piedi, mentre vengono imbarcate a forza su appositi aerei per non si sa dove.
Ebbene, nel corso della culto che ha avuto luogo il giorno dopo l’insediamento, (martedì scorso), con Trump in prima fila, la vescova della Chiesa Episcopale non ha esitato a pronunciare nella sua predicazione parole che non esiterei a definire profetiche e che mi hanno ricordato i versetti del libro del Levitico scelti per la predicazione di oggi.
Al Presidente Trump, che nel 2000 si era fatto fotografare con la Bibbia in mano davanti alla sua chiesa, la vescova Mariann Edgar Budde, nel suo sermone, ha avuto il coraggio evangelico di ricordare che cosa la Bibbia, da lui usata strumentalmente per raccogliere consensi elettorali, effettivamente richieda a un uomo con il suo potere:
avere misericordia nei confronti delle persone che ora vivono nella paura di essere discriminate a causa del loro orientamento sessuale oppure semplicemente perché stranieri o immigrati.
Verso la fine del sermone, la pastora Budde ha pronunciato queste parole:
“Nel nome del nostro Dio le chiedo di aver misericordia… per le persone che lavorano nei nostri campi, nelle nostre industrie, che puliscono i nostri uffici, che sparecchiano i nostri tavoli e lavano i piatti quando mangiamo al ristorante, che fanno i turni di notte in ospedale; forse non hanno la cittadinanza o non hanno tutti i documenti a posto, ma la stragrande maggioranza degli immigrati non sono criminali. Loro pagano le tasse e sono dei buoni vicini di casa. Sono membri fedeli delle nostre chiese, moschee, sinagoghe o altri luoghi di culto e templi.
Io le chiedo di essere misericordioso, Signor Presidente verso coloro i cui bambini, nelle nostre comunità, vivono nella paura che i loro genitori vengano deportati; chiedo che lei aiuti coloro che stanno scappando da guerre e persecuzioni in atto nei loro paesi per trovare compassione e accoglienza qui da noi.
Il nostro Dio ci insegna che noi dobbiamo essere misericordiosi verso gli stranieri perché noi tutti un tempo eravamo stranieri in questa terra.
Possa Dio donarci la forza e il coraggio di onorare la dignità di ogni essere umano, di dire la verità gli uni agli altri con amore, di camminare umilmente insieme e con Dio, per il bene di tutte le persone in questa nazione e nel mondo. Amen.”
Così si è concluso il sermone della vescova della chiesa episcopale.
Si tratta di parole profonde e toccanti, pronunciate con umiltà e decisione, da parte di chi conosce e vive la Bibbia come Parola di Dio; una parola alla quale nessun potente di questo mondo dovrebbe sottrarsi, men che meno un presidente che non ha esitato a farsi riprendere a bella posta con la Bibbia in mano, ben in vista, per intercettare i voti dei credenti.
Ebbene, sorelle e fratelli, il libro del Levitico non ha dubbi riguardo a quello che dovrebbe essere l’atteggiamento dei credenti nei confronti dello straniero:
“Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio” (Lev.19:33-34).
Mi piace notare come nel testo non si dica “lo straniero che abiterà da voi”, bensì con voi.
Mentre il da sottolineerebbe un elemento di estraneità, il con sembra invece evidenziare un elemento di accoglienza; direi quasi un elemento di comunione.
Lo straniero non è semplicemente uno che vive da me, nel mio territorio; è piuttosto uno che vive con me, come parte della comunità della quale io stesso sono parte.
Se a qualcuno venisse il sospetto che queste sottigliezze terminologiche siano al servizio di una tesi faziosa, animata da uno spirito che non pochi oggi definirebbero come “buonista”, vorrei ricordare che in questo brano del libro del Levitico l’atteggiamento di accoglienza verso lo straniero è manifestato in maniera molto chiara:
“Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso” (v.34a).
Anche la motivazione che è posta alla base di questo atteggiamento di accoglienza mi pare importante: “poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio” (v.34b).
Se leggiamo queste parole della Bibbia come rivolte a noi italiani potremmo parafrasare il testo in questo modo:
“poiché anche voi foste stranieri in Germania, in Francia, in Svizzera e in America”.
La vescova Budde, nella sua predicazione, ha provato a ricordare a Trunp che anche gli americani un tempo erano stranieri in America, la cui terra non era, infatti, la loro terra, bensì quella dei popoli indigeni, erroneamente definiti indiani (in realtà gli unici veri americani).
In ogni caso, l’invito di questo brano della Bibbia è a ricordare di essere stati tutti stranieri, in un modo o nell’altro.
Per quanto riguarda noi italiani, certamente l’esperienza dell’emigrazione non ci è sconosciuta; un’esperienza spesso amara, fatta di sacrifici e privazioni, di duro lavoro, di sfruttamento, di pregiudizi, di razzismo, di emarginazione.
E, dunque, motivare l’accoglienza, il rispetto e l’amore per lo straniero con il richiamo all’esperienza passata, nel testo biblico così come nella storia di ogni popolo, è quasi come volerci dire oggi:
Tu puoi capire come si sentano gli immigrati perché tu stesso in fondo sei stato immigrato, nella misura in cui lo sono stati i tuoi progenitori, parenti o antenati, se non tu stesso.
Questa consapevolezza dovrebbe generare empatia, solidarietà, compassione, misericordia, ma vediamo che purtroppo così non è.
A diffondere le immagini delle prime deportazioni di immigrati dall’America in questi giorni non sono stati i giornali dell’opposizione, bensì gli organi ufficiali di informazione della presidenza degli Stati Uniti.
Non si è trattato di foto rubate, bensì di foto diffuse a bella posta dalla presidenza degli Stati Uniti a scopo dimostrativo.
Quelle foto e quei filmati sono stati esibiti con orgoglio, anziché che con vergogna, come prova di una promessa mantenuta.
E’ vero, tutto questo sta succedendo in America.
Ma è qualcosa che dovrebbe preoccuparci, perché c’è un vento di xenofobia che sta soffiando in tutti i Paesi occidentali e che è ben presente anche qui da noi, malgrado la nostra nazione abbia fatto esperienza del dramma dell’emigrazione e sappia di che cosa si tratti.
La questione dei migranti e dei rifugiati continuerà ad essere molto probabilmente una delle sfide più importanti dei prossimi anni ed è un bene che le nostre chiese abbiano già da anni manifestato una certa sensibilità rispetto a queste tematiche (basti pensare a Mediterranean Hope, ai corridoi umanitari, al progetto essere chiesa insieme, etc.).
Se le cose non miglioreranno e se verranno emanate leggi ingiuste o provvedimenti come quelli in atto negli Stati Uniti in questi giorni, ci troveremo probabilmente di nuovo di fronte al dilemma se sia più importante ubbidire alle leggi degli uomini o alle leggi di Dio (cfr. Atti degli apostoli5:29).
Il testo biblico del Levitico scelto per oggi si conclude in maniera singolare.
Dopo le raccomandazioni sul comportamento umano e fraterno da assumere nei confronti degli stranieri ci viene ricordato chi è che ci chiede di amarli e rispettarli:
Io sono il Signore vostro Dio.
Sembra quasi la firma apposta alla fine di una lettera rivolta ai membri del popolo di Dio.
Alla luce degli eventi ai quali stiamo assistendo in questi giorni, però, il breve testo sul quale abbiamo riflettuto stamattina può anche apparire come una sorta di petizione in favore dei diritti dei rifugiati e degli immigrati; una petizione il cui primo firmatario è Dio stesso.
Ci doni il Signore il coraggio e la fedeltà per apporre anche la nostra firma dopo la sua.
AMEN